Claudio Damiani, Cieli celesti
Così come Porta e Rulfo, la poesia di Claudio Damiani mi ha accompagnata in questi due mesi di scritture. Ho iniziato (non ancora finito) l’ultima raccolta – “Cieli Celesti”, Fazi Editore. Non ne farò una recensione. Le recensioni non mi piacciono granché: né leggerle, né scriverle. Neppure riesco, a scriverle: non riesco a scomporre, ad analizzare ciò che penso di un’opera letteraria, specialmente se si tratta di poesia: potrei, al limite, restituire una impressione di lettura – ciò che sento – che è sintetica e complessiva. Potrei dunque dire che la poesia di Damiani mi ha mostrato come si possa essere quieti e classici e orientali senza esotismo alcuno e la parte rivolta alla luce che sta nella vita e nella morte. Ma tutto questo non sarebbe esaustivo. E poi. Poi càpita che io, leggendo – sia prosa che poesia, ma poesia specialmente – mi fissi su dei particolari. Insignificanti, forse, a occhi e orecchie altrui. La poesia di Damiani, per sentirla, io ho dovuto leggerla ad alta voce. Provàteci. Trovatevi una stanza che sia sufficientemente silenziosa e leggete: affidatevi, leggendo, alla scansione in versi e alla punteggiatura e andate. E vedrete che è un camminare, placido e buono, lungo un sentiero di campagna, con il cielo celeste e l’aria tiepida e il sole; è un versificare piano, dove anche certa terminologia scientifica viene accolta con naturalezza, come un sasso incontrato sul ciglio o un filo d’erba che si allunga tenero e verde. E in questo camminare – vi siete abituati, ormai, al passo, all’incedere, alle cesure ai punti alle virgole – ecco un inciampo. Piccolo, quasi non ci si accorge. Non ci si accorgerebbe, forse, leggendo con la testa, con i soli occhi, senza la voce. L’inciampo è la scelta – che Damiani fa sin dalle sue prime poesie, credo – di non usare la “d” eufonica. “Ma io mi siedo sotto gli spini. / Vedo i pioppi che bisbigliano. / Le canne stanno zitte. / Tu non ti rigiri. / Io guardo la trasparenza della tua acqua / e è come guardarti negli occhi.” (dalla raccolta “Poesie” curata da Marco Lodoli). O ancora: “Anche questa è una domanda difficile / che mi fai, e cercherò di rispondere per quanto mi è possibile: / ognuno di noi porta qualche cosa / anche solo una goccia d’acqua nel mare della vita, / questo qualcosa è solo dell’individuo, / e è ciò che di per se stesso fa avanzare il tempo” (da “Cieli Celesti”). In quell’inciampo, io vedo lo straniamento: e lì sento la poesia, l’arte. Una balena che scivola – quieta, costante – in un mare tranquillo e sembra quasi immobile, tanto è vasta la mole e lento il tempo per spostarla. Ma poi, d’un tratto, un guizzo e il corpo s’inarca, s’immerge, riemerge: e tu ti accorgi di quanto sia immensa e leggera, tutto assieme.