La ricerca tendenze: cos’è, come si fa, a chi serve (e con l’occasione ti racconto anche una storia)
Prima di fare quel che faccio oggi, io facevo altro. Dal 2000 al 2009 (e, con alcuni strascichi, anche dopo) mi sono occupata di ricerca tendenze. In quegli anni ho prodotto veramente molto materiale (alcune delle mie presentazioni le puoi trovare su slideshare) e ho elaborato un metodo di analisi che si è sempre comportato in modo più che dignitoso. Lo spreco di beni è umano, ma lo spreco di idee è certamente diabolico: ecco perché ho pensato di condividere qualche appunto e qualche spunto qui. E poi, a rifletterci bene, non è vero che di ricerca tendenze non mi occupo più: ogni volta che scrivo di un’azienda e dei suoi prodotti, ogni volta che cerco di capire cosa passa per la testa del consumatore, mi scopro a recuperare quelle logiche, quei percorsi, quegli schemi che mi hanno accompagnata per tanti anni.
Prima di tutto: cos’è la ricerca tendenze? A cosa serve? Ma, soprattutto, a chi serve? Provo a spiegartelo con una piccola storia, ché mi riesce meglio. E se pensi che le tendenze siano pane per stilisti milanesi, blogger anoressiche ed estrosi archistar, spero di riuscire a farti cambiare idea.
……
Il signor Baratto (non serve specificarlo, che ogni riferimento a persone e accadimenti reali è puramente casuale, vero?) è titolare e amministratore delegato di una nota azienda di acque minerali. L’azienda l’ha fondata lui, trent’anni fa e, bilancio dopo bilancio, l’ha vista crescere così come cresce un figlio: le gambe ogni giorno più lunghe, la voce che si fa profonda e autorevole, il viso imberbe che, a poco a poco, si copre di peluria. Però da qualche mese, al signor Baratto, questa sua azienda dà molti pensieri: il fatturato, cosa mai successa prima, è in calo. Gli utili gli vanno dietro. L’umore dei dipendenti, neanche a dirlo, segue a ruota. Il signor Baratto è preoccupato, molto preoccupato. Vede scappargli di mano quel figlio che è stato finora solo gioia e soddisfazioni, e si domanda cosa sia meglio fare.
Alla riunione del lunedì mattina, chiede consiglio alla responsabile marketing. «Chiamiamo un consulente» taglia corto lei, che ha una videoconferenza con New York e molta fretta di levarsi il titolare dai calli, «qualcuno che s’intenda di strategie. Qualcuno che riesca a vedere la situazione out of the box. Ce l’ho io la persona giusta.»
La persona giusta è il dottor Aldebrandi, consulente di fama internazionale (e di cachet tutt’altro che morigerato) che, dopo un mese di visioni out of the box, si presenta in azienda. Per l’occasione vengono convocati, oltre che la suddetta responsabile marketing, anche il responsabile ricerca e sviluppo e la responsabile commerciale. Eccoli qui, tutti attorno a un tavolo, in silenziosa e fiduciosa attesa, come gli antichi greci di fronte alla Pizia.
«Alla base di tutto» spiega il dottor Aldebrandi, «c’è un problema di label. L’etichetta dei vostri prodotti, mi auguro non si tratti di un misunderstanding, è Silver Lake Blue.»
«Esatto» conferma il responsabile ricerca e sviluppo, «pantone diciassette quaranta trenta.»
«E dunque: i color trend nel settore beverage per il 2015 (ma troviamo conferme anche nei forecast per il 2016) vedono uno slittamento deciso verso il Deep Peacock Blue.»
«Dunque basta cambiare etichetta?» chiede la responsabile commerciale.
«Il main color» dice il dottor Aldebrandi, «è sufficiente il main color. Da Silver Lake Blue a Deep Peacock Blue. I forecast sono chiarissimi.»
«Mi faccia capire» dice il signor Baratto, «io cambio l’etichetta e ricomincio a vendere?»
«I forecast…»
«Ma lei è sicuro? Basta l’etichetta?» insiste il signor Baratto.
«Intanto faccia un restyling. Se il restyling non funziona, faremo un update della research e si vedrà.»
E il dottor Aldebrandi, che ha strategicamente infilato questo meeting tra una conference call e un progress con i partner, si congeda con celerità.
Il signor Baratto, però, non è mica convinto. Non è così sicuro che a metter mano alle etichette si otterranno chissà quali risultati. Però il problema esiste e, a lasciarlo lì, non si risolverà certo da sé. Alla riunione del venerdì pomeriggio, chiede consiglio al responsabile ricerca e sviluppo. «Chiamiamo un altro consulente» dice lui, per tagliar corto (e domandandosi perché, a lui, le castagne sul fuoco tocchino sempre alle diciotto del venerdì), «me ne hanno suggerito uno che fa ricerca tendenze e strategie e altro che adesso non mi viene in mente. Mi dicono che sia bravo. E che non costi neppure troppo.»
«Ricerca tendenze?» dice il signor Baratto, «un altro che mi viene a far discorsi sui colori dell’etichetta?»
«Questo qui è diverso, dicono.»
Il signor Baratto pensa che, tutto sommato, non ha poi molto da perdere, e fissa un appuntamento con il dottor Munari. Dell’appuntamento non starò qui a raccontare: basti dire che il dottor Munari, giudicato dal signor Baratto «una persona di buon senso, che di questi tempi è già molto» si congeda dopo neanche un’ora con un contratto firmato in tasca. Un mese dopo, il signor Baratto, la responsabile marketing, la responsabile commerciale e il responsabile ricerca e sviluppo (quest’ultimo un po’ sulle spine, giacché quel consulente è stata un’idea sua), sono di nuovo riuniti attorno a un tavolo, in attesa delle conclusioni del dottor Munari.
«Avete mai sentito parlare di macro-trend?» dice il dottor Munari, mentre accende computer portatile e videoproiettore.
«Trend? Quelli delle sfilate?» dice il signor Baratto, «Noi si lavora in un settore diverso e…»
«No, niente sfilate. Parlo dei trend di consumo. Molto sinteticamente: chi sono i consumatori? Sono persone (sì, questo a volte noi ce lo dimentichiamo: che i consumatori sono prima di tutto delle persone) che acquistano prodotti, servizi o esperienze per soddisfare un bisogno. Ora: i bisogni non sono tutti uguali. Ci sono diversi criteri con cui classificare i bisogni [forse il più famoso è la piramide di Maslow], ma io, qui, voglio soffermarmi su di un unico aspetto: la diffusione. Abbiamo dunque bisogni emergenti, forti, in declino e latenti. È un bisogno emergente, da noi, in Italia, quello di prodotti halal e kosher per le minoranze etniche. È un bisogno forte, e lo è da diversi anni ormai, quello di prodotti biologici, ecosostenibili e a chilometri zero. È un bisogno latente, invece, quello di prodotti sviluppati partendo dall’analisi del dna di ognuno di noi: il fenomeno esiste ma, vuoi per i costi, vuoi per certe comprensibili prevenzioni, è ancora di nicchia. Sono stato abbastanza chiaro, finora?»
Tutti fanno di sì con la testa.
«Prima ho detto: il consumatore soddisfa i propri bisogni attraverso l’acquisto di prodotti. Dunque ai bisogni corrispondono delle risposte. Anche le risposte, se le guardiamo dal punto di vista della diffusione, possono essere di quattro tipi: adeguate, insufficienti, inesistenti ed eccessive. Abbiamo delle risposte adeguate quando le aziende offrono ai consumatori una quantità e una varietà di prodotti sufficienti a soddisfare quello specifico bisogno. Il bisogno di prodotti biologici è, al momento presente, ampiamente soddisfatto. Ma che dire di dieci anni fa? Di venti anni fa? All’epoca la situazione era del tutto diversa: c’era un bisogno emergente, a fronte di una risposta inadeguata o addirittura inesistente. E cosa succede quando il consumatore non trova, sul mercato, una risposta adeguata ai propri bisogni?»
Silenzio. Nessuno fiata. Tutti sono in attesa, sospesi, come di fronte all’incantatore di serpenti che zufola davanti al cesto ancora chiuso.
«Succede che la risposta il consumatore se la procura da sé. Dieci anni fa, quando la risposta al bisogno di prodotti ecosostenibili o a chilometri zero era insufficiente, sono nati i GAS, i gruppi di acquisto solidale. Quello era un consumer trend emergente, un trend che nasceva dall’incontro tra bisogni emergenti e risposte insufficienti. Perché un macro-trend è questo: l’incontro tra un bisogno del consumatore (dunque della persona nell’atto di consumare) e la risposta che il mercato gli offre o che il consumatore stesso ricava da sé. Quando la risposta viene dalle aziende, abbiamo un industry trend. Quando la risposta è invece creata dal consumatore, siamo di fronte a un consumer trend. Ma forse con questo schema è un po’ più chiaro.»
E il dottor Munari proietta sullo schermo questa dispositiva:
«Mi scusi, ma questo cosa c’entra col fatto che noi, qui, non si vende più come prima?» dice il signor Baratto.
«C’entra, eccome se c’entra. Il consumatore vuole prodotti ecosostenibili: di questo siamo tutti convinti? (e tutti fanno di sì con la testa). L’ecosostenibilità è dunque un macro-trend in atto, e un macro-trend forte, per di più. Che risposte offre la vostra azienda a questo macro-trend? L’acqua oligominerale in bottiglia è un prodotto con un elevato impatto ambientale, non è a chilometri zero e, da molte ricerche (su questo ho recuperato diverso materiale, se vi fa piacere darci un’occhiata), non è neppure un prodotto necessario: l’acqua del rubinetto è altrettanto buona, altrettanto sana, altrettanto controllata. Questo, beninteso, non è quello che penso io e, se anche lo fosse, la mia opinione, qui, è ininfluente: è quello che pensa il consumatore.»
«La gente non mi compra più le bottiglie perché beve dal rubinetto?» dice il signor Baratto.
«Anche. Ma ne parleremo meglio dopo. Mi premeva, per cominciare, condividere con voi la metodologia, il mio modo di approcciare la questione.»
«Quindi se faccio le etichette nuove non risolvo un bel niente.»
«Temo proprio di no. Potete intervenire sul pack, questo sì: magari utilizzando plastiche derivate da fonti vegetali o riducendone lo spessore. Ma il colore dell’etichetta, da solo, non farà granché.»
«Lei mi fa l’ambasciator che porta pena, dottor Munari.»
«La ricerca tendenze è questo, signor Baratto: non è un oracolo, non è una magia. È una diagnosi. Una diagnosi che, se fatta bene, può offrire degli strumenti per mettere a punto le necessarie terapie. A patto che uno voglia farsi curare. Cosa penserebbe di un medico che, di fronte a un mal di schiena, le consiglia di comprarsi una cravatta nuova?»
«Gli direi che con la cravatta ci si può pure…»
«Ecco, ci siamo capiti. E ora, se lei è d’accordo, possiamo dare un’occhiata a questa schiena che duole e vedere assieme quali farmaci e quali terapie possano fare al caso vostro.»
«Magari dopo un caffè, che ne dice?»
«Dico che un caffè è sempre un buon punto di partenza.»
……
E noi lasciamo il signor Baratto, il dottor Munari e gli altri nostri eroi aziendali al loro caffè e affrontiamo, questa volta sinteticamente, alcuni punti:
Che cos’è la ricerca tendenze?
È lo studio dei macro-trend, sia industry che consumer (e cosa sia un macro-trend lo abbiamo visto sopra). Ma è anche lo studio dei micro-trend e, in misura minore, dei fuochi di paglia.
Aspetta, aspetta: e questi micro-trend cosa sono? E i fuochi paglia?
I macro-trend sono tendenze di lunga durata: due, tre, cinque anni. Si riconoscono perché è possibile osservarli in più di un settore. L’ecosostenibilità, ad esempio, la troviamo nella moda, nel design, dell’architettura, nell’agroalimentare… e potrei continuare. I micro-trend sono tendenze settoriali (anche se ci possono essere contaminazioni tra settori diversi) e hanno una durata stagionale (attenzione, perché il concetto di stagione cambia di settore in settore): se l’ecosostenibilità è una macro-tendenza trasversale, la pelliccia maculata è una micro-tendenza settoriale, che riguarda solo la moda. Un fenomeno caratteristico delle tendenze settoriali, specie nella moda e nel design, è la ciclicità: la pelliccia maculata va di moda, poi passa di moda, poi ritorna di moda (con eventuali varianti: non è più, ad esempio, una pelliccia vera ma è sintetica; non è più con fondo bianco o beige, ma fluorescente). I fuochi di paglia sono tendenze di rapidissimo consumo (anche solo qualche giorno), che nascono in reazione a fenomeni di costume: il film tal dei tali, l’evento tal dei tali, il video virale tal dei tali. Gli errori più grandi che può fare un’azienda? 1. Scambiare un micro-trend per un macro-trend. 2. Pensare di poter attizzare un fuoco di paglia che si sta spegnendo.
E le tendenze demografiche? I fenomeni migratori? Il surriscaldamento del pianeta? C’entrano anche quelli?
Questi sono megatrend. Non se ne occupa la ricerca tendenze, ma la futurologia. Certo, a un ricercatore tendenze occorre sapere anche queste cose. Ma ne parleremo meglio in un altro post.
A chi serve la ricerca tendenze?
A chi si occupa di progettazione, design, ricerca e sviluppo: la ricerca tendenze aiuta a creare prodotti, servizi ed esperienze che rispondano veramente ai bisogni del consumatore, capaci di inserirsi al punto giusto nella curva di diffusione dell’innovazione (se ti va, puoi dare un’occhiata agli studi di Rogers).
Per gli stessi motivi, la ricerca tendenze è utile a chi si occupa di marketing e comunicazione, ma anche agli imprenditori. Anzi: mi chiedo come sia possibile produrre un’analisi SWOT decente (parlo dei due quadranti: opportunità e minacce) senza un po’ di sana ricerca tendenze.
Come si analizzano i trend?
Non è una questione da poter liquidare in poche righe: ci dedicherò un post più avanti. Qui mi limito a dire che: i macro-trend si possono analizzare partendo da un settore specifico, come ho fatto qui io per le tendenze nel food o nel retail o nel living. Oppure si possono considerare trasversalmente, analizzando l’impatto che un singolo macro-trend ha su settori diversi, come ho fatto qui per Eco-techno o per Amarcord. I micro-trend si valutano nella loro ciclicità. È vero però che alcuni micro-trend possono essere influenzati da macro-trend correlati: l’ecosostenibilità, per esempio, può dare il via a stili neopauperistici nella moda e nel design, al rifiuto per i barocchismi, al rough luxe (che si tradurrebbe con “lusso grezzo” ma è tanto, tanto brutto).
C’è qualche link utile?
Ce ne sono fin troppi, è questo il problema. Quello che di solito manca, per impostare una buona ricerca tendenze, sono il metodo e il tempo, mai le informazioni. Ad ogni modo: il database in assoluto più ricco è Trendhunter; pubblica tanto, forse troppo, il che significa che qui e là c’è anche molta paccottiglia. I contenuti organizzati e predigeriti sono a pagamento, com’è giusto che sia. Psfk è per la maggior parte gratuito e molto ben fatto: i report si pagano, ma il costo è più che ragionevole. Trendwatching è stato il mio primo amore e ci sono molto affezionata: all’epoca, però, era completamente gratuito. Come siano oggi i report a pagamento, non lo so. Iscrivendoti a JWT Intelligence ti arriverà una newsletter alla settimana; ci sono poi i report mensili: l’anteprima è gratuita, la ricerca completa ha costi abbordabili. WGSN è una miniera d’oro per chi lavora nella moda ma è molto, molto caro: difficile che sia alla portata di una piccola azienda o di uno studio di progettazione. La rivista che preferisco è Viewpoint: esce ogni sei mesi e offre moltissimi spunti (vado a memoria, perché sono diversi anni che non l’acquisto più). Tutti questi link approcciano le tendenze da un punto di vista trasversale: ogni singolo settore ha poi i suoi blog, i suoi siti, i suoi guru (per il design, il migliore è forse Designboom).
Ci sono dei libri che insegnano a fare ricerca tendenze?
Pochi. Per la verità non esiste un metodo certificato e universalmente riconosciuto per fare ricerca tendenze. Io ti ho raccontato il mio (dunque un metodo, non il metodo). Con me ha funzionato. Funzionerà anche con te? Non lo so. Può darsi. La cosa migliore è metterlo alla prova e fare tutte le modifiche e le integrazioni del caso. Tornando ai libri: manuali che spieghino passo passo il cosa, il come e il perché, non ce ne sono. Alcune letture utili però sì: Anatomy of a trend di Henrik Vejlgaard, The tipping point di Malcolm Gladwell (specie se ti interessa il cool hunting), Exploiting chaos di Jeremy Gutsche (il fondatore di Trendwatching) e The Dictionary of the Future di Faith Popocorn, che è un testo certamente datato, ma resta pur sempre della Popcorn (e questa Popcorn chi è? dirai tu. È colei che, partendo dalla futurologia, ha inventato la ricerca tendenze. Con quel cognome? Il cognome è inventato pure quello: all’anagrafe era Plotkin).
E per finire, un’ultima precisazione…
La storia dell’azienda di acqua minerale è chiaramente un’invenzione: non esiste nessun signor Baratto (o meglio: esisteranno centinaia di signori Baratto, ma non hanno nulla a che vedere con questo discorso), e non esistono il dottor Aldebrandi e il dottor Munari. Anche la situazione è inventata e volutamente caricaturale: provo grande ammirazione per chi si occupa di tendenze colore, e so che la loro professionalità è indispensabile (se l’argomento ti interessa, puoi far riferimento all’associazione Color Coloris: riunisce i migliori consulenti italiani, da Vittorio Giomo a Ornella Bignami). Peraltro di tendenze colore, en passant, mi sono occupata anch’io. Il concetto che volevo sottolineare (e spero si sia capito) è questo: la ricerca tendenze non si limita a indovinare il punto di rosso che andrà il prossimo autunno o a pronosticare le magnifiche sorti e progressive del tessuto pied-de-poule che compare in passerella. La ricerca tendenze può essere invece uno strumento utile a tutti (o a molti) per conoscere il passato, capire il presente, progettare il futuro (e questo, se ci pensi, ha molto a che vedere anche con le storie).
rita/ 06.05.2016
Trovo che il tuo Lavoro sia molto interessante…Complimenti…Spesso gli stilisti vengono usati come jouxbox..
lucia/ 14.10.2015
una cosa autodeboss mi diceva ?
valentina_durante/ 15.10.2015
😀
Alessia/ 10.09.2015
Definire interessante questo post sarebbe davvero riduttivo, perciò scriverò un’altra cosa, probabilmente altrettanto banale:
GRAZIE.
valentina_durante/ 23.09.2015
E un commento come questo merita una risposta altrettanto ovvia: GRAZIE 🙂