Tendenze, moodboard, prodotti (e non possono mancare le storie)
Dove si parla di tecnologie GRIN, di hipster, di lingerie e di vecchie zie che si fanno surgelare
Megatrend, macro-trend, micro-trend e fuochi di paglia: in un post precedente ti ho parlato di questo, ricordi? (e se non ricordi, trovi tutto qui). Ma quello era solo l’incipit della storia. Oggi ti racconterò invece la conclusione: il percorso che, dalle tendenze, ci porta a realizzare il prodotto finale – un vestito, una scarpa, un divano o la comunicazione pubblicitaria che li accompagna. E siccome il buon Confucio diceva: «Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco», preferisco dirti il come e il perché attraverso un caso concreto. Risale a parecchi anni fa, ma andrà più che bene.
È la primavera del 2008 e mi devo occupare delle tendenze per la stagione autunno/inverno 2009-2010. Gli industry e i consumer trend su cui decido di lavorare parlano di progresso scientifico e tecnologico. Parto da due approcci contrastanti: quello di Ray Kurzweil e quello di Bill Joy.
Kurzweil (futurologo, inventore, scrittore e tante altre cose) ha una visione estremamente ottimistica delle tecnologie GRIN (genetica, robotica, informatica e nanotecnologie). Nel suo The Singularity is Near: When Humans Transcend Biology, pubblicato nel 2006, egli sostiene che nel 2029 saremo in grado di costruire un hardware e un software che ragionino come un cervello umano. A quel punto il nostro, di cervello, ci parrà disastrosamente inadeguato, ragion per cui non esiteremo a fonderci con i computer, tanto per aggiornarci un po’. E che dire della vecchia carcassa biologica che ci portiamo appresso? Della sua manutenzione si occuperanno migliaia di minuscoli nanobot: basterà un’iniezione giornaliera, e questi piccoli, volonterosi esserini meccanici faranno il lavoro sporco al posto nostro: distruggere i germi, eliminare le cellule cancerose, rimuovere le scorie. «Arriveremo a un punto in cui il progresso tecnologico sarà così rapido che il cervello umano tradizionale non riuscirà più a seguirlo. Ho fissato questa data al 2045» dice Kurzweil, «quando l’intelligenza non biologica sarà molti miliardi di volte più potente di quella umana. Questo comporterà una trasformazione assai profonda nella nostra civiltà. Ecco la Singolarità [termine che i fisici utilizzano per indicare i buchi neri quali punti di rottura radicali nell’universo].» Kurzweil, che ha 57 anni (ti ricordo che sto scrivendo nel 2008), il traguardo del 2029 è ben deciso a non perderselo: ecco perché sta seguendo una dieta di sua invenzione che prevede l’assunzione quotidiana di 250 supplementi nutritivi.
Posizione diametralmente opposta è quella di Bill Joy, Chief Scientist di Sun Microsystems. Nel 2000, Joy ha sconcertato i lettori di Wired con il suo articolo Why the Future Doesn’t Need Us, in cui afferma che la crescita sconsiderata della tecnologie GRIN potrebbe minacciare il futuro dell’umanità. Se è vero infatti che tutto il secolo passato ha prodotto molte tecnologie pericolose, oggi la novità è che alcuni filoni di ricerca hanno caratteristiche di propagazione e autoriproducibilità prima impensabili. Curioso, detto da uno il cui retroterra culturale e professionale sembra tutto fuorché luddista. E difatti segue autocritica: «Ho sempre pensato che fare del software più affidabile avrebbe reso il mondo un po’ più sicuro e sano. Se ritenessi che questo non è più vero, mi sentirei moralmente obbligato a fermarmi. Ora posso immaginare che quel giorno potrebbe arrivare». [quel giorno non dev’essere ancora arrivato, perché Joy è oggi un venture capitalist che investe proprio in tecnologie GRIN; in compenso ha coniato la Joy’s theory per spiegare l’inefficienza dei processi di selezione del personale in azienda: «No matter who you are, most of the smartest people work for someone else.»]
E dunque: una visione paradisiaca del progresso contrapposta a una visione infernale. Quest’antitesi è il contenitore che racchiude nove industry e consumer trend. Eccoli (ci sono parecchie parole inglesi in questo post; porta pazienza: l’inglese sta alla ricerca tendenze come il francese al balletto e l’italiano all’opera):
- Geeks & Nerds: dalla fine degli anni Novanta, assistiamo alla progressiva nobilitazione di molti feticci delle sottoculture geek e nerd (puoi dare un’occhiata a questo articolo: Rise of the new geeks: how the outsiders won). «I geek governano il sistema che governa il mondo», dice lo scrittore e giornalista Jon Katz.
- Back to space: dalle teorie complottiste (ci siamo andati per davvero sulla Luna?), al turismo spaziale (Richard Branson ha fondato la Virgin Galactic nel 2004), a Marte, la nuova frontiera. E poi il 2009 sarà (mi trovo nel 2008, ricordi?) l’anno dedicato all’astronomia.
- Eco-techno: matrimonio d’interesse tra ecologia e tecnologia. Si parla di biomimetica (trovare soluzioni sostenibili studiando sistemi, modelli e processi presenti in natura) e di sintetico ecologico. È un trend che ama le profondità marine: il paleontologo americano Neil Shubin ha pubblicato Your Inner Fish, un libro in cui sostiene che l’uomo discende dai pesci (pare abbia trovato un fossile di pesce con collo e mani).
- Love/hate science: chi odia le scienze? I giovani americani, a quanto pare: il 40% dei dipendenti della Nasa ha più di 50 anni. La generazione di scienziati e ingegneri che si è infiammata ascoltando il Moon Speech di JFK e ha tremato all’idea di essere surclassata dallo Sputnik è oggi è prossima alla pensione (serve un’altra Guerra Fredda?). E chi ama, invece, le scienze? I giovani cinesi, a quanto pare. In Cina i diplomi di laurea in scienza e ingegneria sono il 60% del totale.
- Biology reborn: dalla mappatura del DNA umano (con conseguenti prospettive commerciali), all’avvento della genetica low cost, alla carne clonata, all’arte transgenica.
- Science vs religion: dal dibattito tra creazionisti ed evoluzionisti alla nascita dei bright e dell’ateismo militante (libro-culto: The God Delusion, di Richard Dawkins)
- Il mito dell’eterna giovinezza: alla ricerca di un corpo immutabile e immarcescibile, i Baby Boomers, dopo aver plasmato negli anni Sessanta il concetto di giovinezza, ora ripensano il concetto di vecchiaia. E il biogerontologo Aubrey de Grey annuncia di aver trovato il modo per prolungare la vita di centinaia di anni (da anziani, però: li passeremo tutti a giocare a tresette in casa di riposo?).
- Il culto dell’efficienza: una società che non dorme mai e che si dà la carica con bevande stimolanti e cibi funzionali. Grande fortuna per i giochini che allenano il cervello e ottimizzano le nostre capacità mentali, dal Brain Training di Nintendo al più economico sudoku.
- L’era della robotica: a essere all’avanguardia è, neanche a dirlo, il Giappone: un paese che sta invecchiando e presenta una cultura fortemente monoetnica.
Questa è la descrizione sintetica dei nove industry e consumer trend, ma ti consiglio di dare un’occhiata anche alla presentazione estesa: trovi riferimenti a prodotti, libri, film, eventi, ma soprattutto molte, moltissime immagini. Eccola:
Fatto? Benissimo. Partendo da questa presentazione, ho dato forma a quattro temi che s’ispirano a quattro temperature e relativi stati della materia: Icy, Cold, Warm e Hot. Ho bisogno di quattro contenitori sufficientemente elastici e capienti, che mi permettano di giustificare spunti, immagini, suggestioni provenienti da ambiti molto diversi tra loro. Qui compaiono i moodboard. Di cosa si tratta? Convenzionalmente, il moodboard è un insieme di immagini, parole-chiave, suoni, musica, link (ma anche oggetti fisici, nei casi più elaborati), il tutto arrangiato in una composizione progettata. Il moodboard lo utilizzano i designer, certo, ma anche gli stylist dell’editoria, i pubblicitari, gli artisti, gli scrittori, i creativi in generale. A che serve? In sintesi, a mostrare visivamente le caratteristiche di un progetto a cui si sta lavorando (nel caso di un prodotto: linee e forme, texture, colori, materiali, grafica eccetera eccetera). Se scrivi, può essere utile per condividere con altri (o per avere davanti agli occhi, come promemoria) l’ambientazione immaginaria di una narrazione. In un moodboard vengono accostate immagini di scenario e immagini di prodotto. Volendo, si possono aggiungere delle parole-chiave.
Guardiamo nel dettaglio i nostri quattro temi. Tieni presente che questa ricerca è stata realizzata per un’azienda di costumi da bagno e lingerie (sei marchi diversi, target prevalentemente femminile, posizionamento medio-alto), ecco perché trovi così tante immagini di sfilate.
Partiamo da Icy (ti consiglio di guardare prima le slide). Le immagini di scenario ci portano in Russia (Transiberiana, paesaggi moscoviti innevati, Anna Karenina e dottor Živago), ma anche negli anni Trenta, con le dive del cinema muto (Greta Garbo). Abbiamo poi riferimenti alle Cronache di Narnia; alle costruzioni di ghiaccio (Hotel de Glace, Iceberg House, Dubai Ice Bar, Swedish Ice Hotel, Nordic Ligh Hotel); all’estetica scandinava (con un sito, lifeiscarbon.com, che non esiste più) e al design poligonale. Nel prodotto: bianco opulento, bianco minimalista, bianco totale; cristalli di ghiaccio, diamanti, applicazioni gioiello; materiali soffici e leggeri: seta, cashmere, mohair, angora. Colonna sonora: Windermere, Lights the Way.
Cold. Nello scenario: provette, materiali da laboratorio, chirurgia estetica, garze, bioarmature in stile manga (Masamune Shirow, Neon Genesis Evangelion, Guyver), DNA art. Nel prodotto: forme ibride, indefinite, mutanti; tessuti intelligenti; cuciture come suture chirurgiche; silhouette body-con, tessuti che avvolgono il corpo, tagli e decorazioni che definiscono le parti anatomiche; finiture glossy; rigonfiamenti di tessuto; strisce sovrapposte come bendaggi. Colonna sonora: Evangelion: 1.0 You Are [Not] Alone – Original Soundtrack, Beautiful World.
Warm. Nello scenario: meraviglie e colori del mondo sottomarino, Ventimila leghe sotto i mari, coralli, pesci e spugne; viaggi per mare alla scoperta di mondi esotici; colonialismo ed esotismo ottocentesco; Bollywood. Nel prodotto: mescolanza di influenze etniche diverse, mosaici caleidoscopici; pattern ricchi e colorati, decorazioni all’henné e tattoo, effetti patchwork; colori caldi, intensi e saturi; stampe ikat e paisley. Colonna sonora: Ravi Bal, Koke Da Chamkara.
Hot. Nello scenario: atmosfere siderali, pianeti e galassie; design space style; rocce, lava, eruzioni vulcaniche, meteoriti, nero scultoreo; retrofuturismo, dandismo, evoluzione dei geek in chiave classica e retrò (quelli che oggi chiamiamo hipster); Viaggio al centro della terra; math rock. Nel prodotto: tessuti tempestati di applicazioni come stelle; tessuti tradizionali inglesi: tartan, tweed, velluto, i caldi colori della campagna autunnale. Colonna sonora: Foals, Gold Gold Gold.
Per ogni tema c’è anche una cartella colori (una quarantina di colori in tutto).
Da qui, posso cominciare a lavorare al prodotto. Oppure (perché no?) posso dedicare un po’ di tempo all’invenzione di una storia, che mi aiuterà a stimolare il processo creativo e potrà fornirmi dei ganci utili in comunicazione.
Dallo scenario di Cold è nato questo:
Lidia Ivanovna Fedorenko amava la vita. Amava i suoi famigliari, i suoi amici e tutti gli studenti a cui aveva insegnato matematica durante la sua lunga carriera a San Pietroburgo. L’idea, un giorno, di dover abbandonare tutto questo un poco la infastidiva. Se ne era lamentata anche con il nipote Daniil: «Non mi dispiacerebbe affatto risorgere, sai? Risorgere e vivere ancora due o trecento anni».
Daniil l’aveva presa in parola. Aveva iniziato a interessarsi di sospensione crionica (meglio nota come ibernazione): si congela un essere umano per riportarlo in vita nel momento in cui sarà disponibile la cura per il male che lo ha ucciso (nonché il sistema per scongelare il corpo in modo efficace). Daniil aveva sentito parlare di centocinquanta corpi sotto-ghiaccio negli Stati Uniti, settantaquattro dei quali surgelati presso il Cryonic Institute di Clinton Township, nel Michigan. «Potrei spedire mia zia laggiù, quando sarà morta», pensò. Prese tutti gli accordi del caso: la referente russa del centro, Danila Medvedev, era una signora molto gentile e solerte. I preparativi erano in corso. La zia era entusiasta.
Ma nella vita, si sa, gli inconvenienti sono sempre dietro l’angolo. Un venerdì sera, dopo un’ottima cena a base di blinis con salmone affumicato e crocchette di pollo alla Požarskij (e con una vodka alla fine, per digerire il tutto), ecco l’imprevisto: Lidia Ivanovna Fedorenko, all’età di settantanove anni, ha un arresto cardiaco e muore. Daniil è affranto: «La zia poteva degnarsi di portar pazienza almeno un’altra decina di giorni» dice, «e adesso come si fa?» C’è da capirlo: è successo tutto con troppo anticipo rispetto ai programmi e il corpo non può essere spedito negli Stati Uniti. E, come sempre succede, a sfortuna si aggiunge sfortuna: il giorno dopo la morte della zia, i negozi di San Pietroburgo sono chiusi e Daniil non può acquistare il preparato chimico necessario a garantire l’ossigenazione del sangue che precede il congelamento vero e proprio. Per fortuna c’è la gentile e solerte Danila Medvedev, che suggerisce di asportare il cervello: «Alla fine è il cervello quello che conta: è lì che albergano i nostri pensieri, le nostre memorie, le nostre emozioni… Quanto al corpo, si potrà sempre trovare di meglio.»
Per sette mesi, il cervello di Lidia Ivanovna Fedorenko rimane nell’appartamento del nipote. Ogni quattro giorni, Daniil rinnova diligentemente il ghiaccio secco che ne garantisce la conservazione. Dopo sette mesi, Danila Medvedev annuncia la tanto attesa notizia: è nata a Mosca la prima azienda crionica non statunitense. Si chiama KrioRus. L’ha fondata un certo Alerei Potapov, che ha deciso di congelarsi assieme ai famigliari a morte avvenuta. Altri possono però beneficiare del pio ufficio, al costo di novemila dollari l’anno. Il 28 settembre 2005 Lidia Ivanovna Fedorenko viene ufficialmente neurosospesa. A farle compagnia in freezer c’è un altro crio-paziente, un ricco uomo d’affari sessantenne deceduto nel 2002 per un ictus. Un giorno, chi lo sa, i due torneranno in vita, assieme agli altri centocinquanta ibernati statunitensi, alcuni in sospensione da oltre trent’anni. «Le premesse» dice Alerei Potapov a Daniil, «ci sono tutte: un gruppo di esperti del Massachusets General Hospital di Boston ha ibernato e resuscitato duecento maiali, con una percentuale di successo del novanta percento: nove maiali su dieci, capisce?» Daniil fa sì con la testa e sorride. «E poi» continua Potapov (convinto transumanista) «siamo ormai in possesso della tecnologia necessaria a modificare il nostro corpo per renderci immortali. Anche loro ricominceranno a vivere, proprio come i maiali.» Daniil fa di nuovo sì con la testa e sorride, debolmente però. Pensa alla zia Lidia Ivanovna Fedorenko. Ai centocinquanta ibernati americani. Ai duecento maiali. E qualcosa gli sfugge.